Lucia Coppola - attività politica e istituzionale | ||||||||
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Trento, 8 marzo 2011
E tutti insieme abbiamo detto «basta». Nelle ultime settimane, le rivolte contro i regimi dittatoriali nel Nord Africa, in particolare in Tunisia, Egitto e Libia. I loro contraccolpi hanno raggiunto l’Iran, con rinnovate, coraggiose manifestazioni e conseguenti, feroci repressioni. La partita non è sicuramente chiusa e sono certa che anche lì non mancheranno altre sorprese. Il dato unificante, in Italia e negli altri paesi testé nominati, è il ruolo avuto dalle donne: protagoniste attive, lucide, presenti, determinanti. Abbiamo visto in televisione tante ragazze, alcune con il velo, altre con lunghi capelli sciolti e jeans, organizzare e guidare manifestazioni di piazza, farsi carico della logistica, dell’ordine nel disordine della rivolta, delle relazioni con la stampa e le televisioni, col resto del mondo. La stessa figlia di Rafsanjani è stata arrestata. Dall’Italia, umiliata e ferita, all’altra sponda del Mediterraneo in lotta per la libertà: aspirazioni profonde e comuni, parole come “dignità, lavoro, uguaglianza di diritti”. Dall’Italia al Maghreb, modalità simili nell’organizzare il dissenso, assenza di capi conclamati, di organizzazioni storiche, di partiti. Al loro posto, reti paritarie di comunicazione: internet, cellulari, sms, immagini su youtube, video amatoriali. Tutto è iniziato in Tunisia, con il pubblico suicidio mediante il fuoco di un ambulante, laureato. Un ragazzo, venditore di frutta, vessato dalla polizia di regime. Mentre in Italia un altro ambulante si dava fuoco e moriva perché preso di mira da alcuni agenti della polizia municipale, in Sicilia, con la confisca del suo banchetto. La disperazione per non poter più provvedere alla sua famiglia ha indotto l’immigrato alla disperata decisione di farla finita. Ho ancora negli occhi e nel cuore il volto di pietra, dilavato dal pianto e scavato dal dolore, della madre Rom, accarezzata dalla mano leggera e dalla commozione palpabile del presidente Napolitano, che in quel momento, davvero intensamente, tutti ci rappresentava; di quella madre, e di quel padre, che hanno perso quattro figli nel rogo della loro baracca insicura, ai margini dei margini del vivere civile. Da un viadotto a un ponte, dai campi rasi al suolo dalle ruspe alle sterpaglie e al gelo dell’inverno. Tre fuochi, dunque, da non dimenticare, che bruciano le nostre menti, che accendono il bisogno profondo di cambiamento, devono rappresentare un nuovo inizio. Dopo decenni di disquisizioni sullo scontro di civiltà, sul relativismo culturale, sulla democrazia «patrimonio dell’occidente», da esportare sulla canna del fucile, sulla condizione della donna (velo, burka, topless, tanga, famiglia e harem), scopriamo che le donne aspirano, in tutto il mondo, a libertà, dignità e rispetto, all’accesso all’istruzione e al lavoro, all’assistenza nella cura e nell’educazione dei figli. Scopriamo, in questi giorni, che i valori fondanti della convivenza non sono monopolio e appannaggio dell’Occidente. Vi sono valori che dobbiamo considerare come patrimonio comune dell’umanità. Ogni popolo, in tempi e modi diversi, ha contribuito con impegno e sacrifici alla loro affermazione. Le donne sono state parte attiva di tutti i movimenti di liberazione: dalla schiavitù, dalla discriminazione razziale ed etnica, dai genocidi, dalla dominazione coloniale. Giovani donne combatterono nella Resistenza nel nostro paese, per affermare nella Costituzione la parità uomo-donna, il diritto di voto, esercitato per la prima volta solo nel 1946. Giovani partigiane, come Tina Anselmi, sono state la linfa vitale, il collante, l’immagine del cambiamento del dopo guerra e della ricostruzione, nelle istituzioni democratiche. E continuarono negli anni le loro battaglie per il diritto di famiglia, l’autodeterminazione delle donne, la parità di salario, la tutela del lavoro. In tempi recenti, nel resto del mondo, altre donne coraggiose, come la giornalista Politkovskaja, hanno pagato con la vita l’aver denunciato il genocidio in Cecenia e il regime dispotico e corrotto di Putin; hanno difeso con coraggio attivisti e manifestanti in Iran, come Shirin Ebady, premio Nobel per la pace. Sono le donne di Plaza de Majo, in Argentina, a cui il dittatore Videla ha sottratto figli e nipoti, le donne palestinesi e le pacifiste israeliane, alla ricerca di un punto di incontro nella loro terra, contesa e dilaniata dai conflitti; sono le donne che nelle nostre istituzioni e fuori da esse si battono per la giustizia e contro la sopraffazione, come Daria Bonfietti, presidente della associazione dei familiari delle vittime di Ustica. Sono Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, e la madre del giovane Federico Aldovrandi, entrambi uccisi dalla violenza gratuita di chi avrebbe dovuto proteggerli. E’ la madre della giornalista Ilaria Alpi, assassinata in Somalia perché indagava sul traffico dei rifiuti tossici. E sono le giovani operaie, ricercatrici, insegnanti, precarie, madri, studentesse, pensionate che sostengono i figli disoccupati. Sono loro che, in questo momento assai difficile, si impegnano ogni giorno con decoro e dignità per se stesse e per le loro famiglie, portando sulle spalle il peso, anche psicologico e umano, della crisi economica. Dopo anni di solitudine, arretramento, oscuramento di sogni e bisogni, si cominciano finalmente a vedere i segni di un grande cambiamento nelle donne di tutte le età e di tutte le condizioni, che si avvalgono della capacità di usare attivamente tutti i mezzi che questa civiltà ha creato per comunicare, condividere, discutere e mobilitare. Le donne si sono riprese le piazze, le parole d’ordine, la fantasia e l’utopia. Hanno nelle loro mani la concretezza del vivere quotidiano, ma anche competenze e professionalità, saperi. Hanno occhi lucidi di commozione, alcune sul viso i segni del tempo, che segnano l’orgoglio della maturità e la naturalezza dell’invecchiare. Hanno le facce gioiose e fresche delle ragazze, i loro colori accesi. Raccontano che un mondo migliore, per tutti, è possibile! E così, dopo un entusiasmante 13 febbraio, buon «8 marzo»! E che sia un giorno festoso, di riflessione, poesia, musica e parole. Di affettività, di amicizia e di incontro. E ancora di testimonianza. Un giorno speciale e normale a un tempo, saldamente piantato nel terreno ancora freddo dell’inverno, come un ramo di mimosa, impalpabile e luminoso. Profumato di vita e destinato a non sfiorire mai. Lucia Coppola
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LUCIA COPPOLA |
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